Fedora e Firenze

La Pira ringrazia Fedora
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Una rosa per Fedora
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A Firenze era per tutti la Fedora, il cognome veniva dopo, molto dopo. Malgrado il suo carattere burbero e severo (non ne perdonava una che ritenesse un'ingiustizia) il celebre mezzo soprano amava Firenze e Firenze la ricambiava con altrettanto affetto. Insomma, l'amore era reciproco tanto grande quanto troppe erano purtroppo le sue assenze non certo per disaffezione verso la città ma a causa dei suoi innumerevoli impegni. Ai vertici delle richieste c'era quella prestigiosa di Arturo Toscanini che la prediligeva. E di fronte a tanto nome... tutto è perdonato.
Ricordiamo, per fare un solo esempio, un Requiem di Verdi memorabile e per fortuna affidato al prezioso vinile. Ma come non ricordare l'Azucena del Trovatore o l'inquietante Ulrica di Un ballo in maschera? Interpretazioni tutte direi inconfondibili se non addirittura uniche.
L'aggressività della voce, musicalissima e usata con grande intelligenza, era pari al suo temibile carattere, meglio sarebbe dire caratteraccio. Ma aveva ragione lei, alla fine. Aveva i suoi princìpi e potevano essere sbagliati come è umano che accada. Ma li difendeva con coraggio e, soprattutto, senza alcuna ipocrisia.
Le cose che aveva da dire le diceva in faccia, chiunque avesse davanti, dall'ultimo degli ammiratori a quello più prestigioso che si facesse avanti nel camerino per ossequiarla ed esprimerle la propria soddisfazione. Ma, se nella breve conversazione qualcosa andava storto, apriti cielo!
Così capitò durante un breve incontro/scontro con Michele Suozzo, partner di Enrico Stinchelli nella seguitissima trasmissione radiofonica La Barcaccia. Non ricordo le ragioni del contendere ma, siccome qualcosa non la convinceva e ancora non aveva avuto il tempo di affrontare la questione a quattr'occhi, appena ebbe davanti il responsabile (e che responsabile: piuttosto maligno e senza peli sulla lingua anche per animare la scena) gliene disse di tutti i colori tanto da farlo restare ammutolito.
Un episodio che certo Suozzo ricorderà per tutta la vita. Ciò accadde nel 1990 durante l'intervallo di un avvenimento importante quale fu la celebrazione del cinquantesimo anniversario dell'esordio avvenuto, per l'appunto, sulle scene del Teatro Comunale di Firenze. In programma allora Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa.
In questa emozionante occasione, per l'ennesima e, purtroppo, ultima volta venne invitata a interpretare uno dei personaggi chiave del suo repertorio: Mamma Lucia da Cavalleria rusticana di Mascagni, altro soggetto da considerare un cavallo di battaglia. Fu un trionfo. Certo, la voce non poteva più essere quella di un tempo ma il fascino che era capace di emanare con il suo portamento, oltre che vocale anche teatrale, non si era appannato. Anzi, i meriti acquisiti nel corso di una invidiabile carriera, avevano assunto la fisionomia del mito. E ciò servì ad accrescere l'entusiasmo della platea.
Nella sua moderna e ampia abitazione fiorentina in viale Fratelli Rosselli dava, quando il tempo glielo permetteva, lezioni di canto molto selettive e mirate.
Riceveva gli amici e con piglio sicuro rispondeva a tutte le domande, anche le più imbarazzanti che le venivano poste. È naturale che mettesse soggezione e quindi gli ospiti si sentivano un po' frenati nelle loro curiosità. Quando andai a trovarla fu in compagnia di Ilaria Tommasi e di uno dei figli, Ugo Barlozzetti.
La presenza di mia moglie Ilaria aveva un doppio senso: sentirsi gratificata per avvicinare un'artista di tale livello e farsi riconoscere come figlia di Marcello Tommasi, lo scultore che aveva forgiato per lei una delle numerose medaglie dedicate a grandi musicisti e cantanti. Il dialogo fu simpaticissimo e sembrò breve, tanto la conversazione procedeva con sincerità e scioltezza senza avere alcun timore di alcune uscite sarcastiche nei confronti di qualche collega o di alcune istituzioni. Ma era pane per i denti di Ilaria essendo anche lei di forte temperamento, schietta e senza tanti sotterfugi o strategie seduttive.
Quell'incontro mi è rimasto sempre impresso. Pochi anni dopo si seppe che non stava molto bene di salute e se ne andò quando aveva appena toccato gli ottant'anni. Allora lavoravo per «il Giornale della Toscana» (inserito come cronaca fiorentina all'interno del milanese «il Giornale») e non mi limitai a farle visita nella chiesa di San Jacopino dove era esposta ma stesi questo necrologio uscito il 5 marzo 2003 con il titolo Addio Fedora Barbieri. Firenze piange la sua stella della lirica.
Per tutti era la Fedora. Una platea immensa che andava oltre la musica diventando personaggio, organico alla città dove era arrivata, dalla natia Trieste, alla fine degli anni Trenta. Precisamente era uscita nel 1940 da quel centro lirico presieduto da Mario Labroca — grande invenzione dei Maggi storici — per vestire i panni di Fidalma nel Matrimonio segreto di Cimarosa. Un ruolo dei tanti che in oltre sessant'anni di carriera (un vero record difficilmente riscontrabile e battibile) Fedora Barbieri ha ricoperto da grande protagonista delle scene liriche di tutto il mondo. Il debutto era caduto in una data dal sapore storico, il 4 novembre, quando l'Italia era ormai avviata sul tragico cammino della Seconda guerra mondiale. Firenze, malgrado tutto, aveva appena concluso un Festival da capogiro: Flauto magico, Traviata, Turandot di Puccini e di Busoni, Boris, Didone ed Enea, Adelchi di Manzoni per restare ad alcuni titoli. Di lì a poco sarebbero emersi i giovani nomi dello straordinario vivaio del Centro lirico. La Barbieri apparve subito un fenomeno: bella voce, timbro autorevole, piegato a mille sfumature, malgrado il registro, decisamente da mezzosoprano. Caratteristiche eccezionali che le consentivano di affrontare parti di diverso calibro espressivo, come appunto Fidalma del Matrimonio segreto iniziale e quindi Azucena del Trovatore. Immediatamente dopo averlo interpretato al Comunale è rimasto in modo indelebile impresso al suo nome, tanto da trasformarsi in una specie di "esclusiva"durata fino ad oggi. Fedora pareva indistruttibile. La forte fibra fisica e la scuola perfetta le ha permesso continui spostamenti con ogni mezzo (gli aerei erano preferiti), si può dire fino a ieri. E tutti noi la ricordiamo ancora fresca, pimpante e battagliera, sulle scene del Teatro del Maggio celebrare i sessantanni in un altro dei ruoli nei quali ebbe ben pochi rivali: Mamma Lucia in Cavalleria rusticana. Era il 4 novembre del 2000. Insieme con Giacomo Lauri Volpi, Giuseppe Taddei, Mag da Olivero e pochi altri, su tutti Giulietta Simionato, Fedora Barbieri ha rappresentato il miracolo della longevità artistica unito all'eccellenza della voce. Da Monteverdi a Pergolesi, fino al Novecento, passando naturalmente per Verdi (chi non la ricorda nel brioso e pettegolo personaggio di Quickly nel Falstaff?) il suo repertorio era vastissimo con risultati tenuti sempre a livelli musicali ed espressivi da manuale. è un pezzo di storia della lirica, insomma, che se n'è andato, lasciando un vuoto immenso non solo negli appassionati del melodramma ma nella stessa città che era diventata la "sua" città, senza tradire mai l'accento triestino, capace di creare un gemellaggio culturale che la rendeva ancora più affascinante. Le parole dettate dal cuore e sotto l'emozione del momento incontrano altre date, altri momenti scorrendo l'interminabile curriculum dal debutto alla Scala nel 1942 con la Nona sinfonia di Beethoven, sotto la direzione di Victor de Sabata, alla memorabile produzione del Don Carlos londinese del 1957 affidato alla bacchetta di Giulini. Nel 1949 era approdata al Metropolitan di New York con Aida e Don Carlos colpendo l'attenzione di Toscanini che la volle con sé in una delle perle della sua arte d'interprete: il Requiem di Verdi. Per fortuna molte tappe restano a perpetuo ricordo nei dischi che vedono sul podio il fior fiore delle bacchette del dopoguerra: Furtwängler, Guarnieri, Bernstein, Abbado, Serafin, Bartoletti, Mitropoulos, Maazel, Prètre. La lista non finirebbe più, come quella dei registi ai quali la Barbieri, date le sue straordinarie capacità di attrice, dette grandi soddisfazioni: Visconti, Strehler, Zeffirelli, Pabst, Ponnelle, Sequi, Pavlova. I compagni di viaggio canori? Del Monaco, Febaldi, Callas, Coretti, Gobbi, Panerai, Siepi, Gigli… Un planetario da far venire i brividi. Questa era la Barbieri. Un esempio unico di intelligenza e di arte che Firenze ha perduto. Ma non nella memoria. Venerdì prossimo la sua voce indimenticabile risuonerà all'inizio del concerto del Comunale. Nelle prossime settimane è prevista una cerimonia a lei dedicata.

Marcello De Angelis